本音と建前 Honne/Tatemae: Il doppio volto della comunicazione giapponese
Oggi parliamo di un tema fondamentale per affrontare la comunicazione in giapponese, essenziale a tutti i livelli - quindi molto importante per chi studia questa lingua, persino a livello base. Se l'idea di provare lo studio del giapponese vi incuriosisce (a proposito: il nuovo corso inizierà il 25 settembre 😜) leggete con attenzione questo articolo!
Quando parliamo con una persona giapponese, può capitare di avere la vaga sensazione che ci sia un livello di significato non detto, quasi un messaggio nascosto tra le righe. Quando succede, stiamo toccando con mano uno dei concetti più cruciali e complessi della cultura giapponese: la dinamica tra 本音 (Honne) e 建前 (Tatemae).
Non è un concetto linguistico, ma socio-culturale. Lo possiamo definire come il gioco sottile tra i sentimenti reali e la facciata pubblica, tra ciò che si pensa e ciò che si mostra per un bene superiore: l'armonia del gruppo. Proviamo a comprenderlo insieme.
Le parole: "suono vero" e "facciata"
・本音 (Honne): composto da 本 (hon) - "vero, autentico" - e 音 (ne) - "suono". È il "suono autentico", i veri pensieri, sentimenti e desideri di una persona. È la voce del proprio io interiore.
・建前 (Tatemae): Composto da 建 (tate) - "costruire" - e 前 (mae) - "davanti, facciata". Letteralmente, è "la facciata di un edificio". Rappresenta le opinioni, i comportamenti e le parole che una persona mostra in pubblico, una sorta di "maschera sociale" che si indossa per conformarsi alle aspettative della società, del lavoro e delle relazioni.
La mappa sociale: Uchi-Soto (Dentro-Fuori)
Honne e Tatemae non sono impiegati a caso, ma seguono una precisa mappa sociale basata sul doppio concetto di uchi-soto.
・Uchi (内) - "Dentro": è la cerchia intima, il proprio "gruppo personale" (famiglia, partner, amici più stretti, a volte i colleghi più fidati). All'interno del nostro Uchi, c'è uno spazio sicuro dove lo Honne può essere espresso con maggiore libertà.
・Soto (外) - "Fuori": è chiunque si trovi al di fuori della cerchia Uchi (sconosciuti, clienti, superiori, conoscenti). Quando interagiamo con il mondo Soto, il Tatemae diventa la norma.
Attenzione però: non si tratta di ipocrisia, ma di un sofisticato strumento di navigazione sociale. Lo scopo non è ingannare, ma proteggere. Proteggere cosa?
Il fine ultimo: l'Armonia del "Wa" (和)
Il Tatemae esiste per preservare il 和 (Wa), l'armonia del gruppo. Il Wa è un valore cardine della società giapponese, le cui radici affondano nel confucianesimo e sono state codificate già nel VII secolo nella "Costituzione dei 17 articoli" del Principe Shōtoku.
L'idea è che il benessere e la stabilità del gruppo siano più importanti dell'espressione individuale di un singolo membro. Un Honne "brutale" potrebbe ferire, creare attrito e rompere l'equilibrio.
Il Tatemae agisce da lubrificante sociale, smussando gli angoli e garantendo che le interazioni scorrano fluide. (→ parlerò più nel dettaglio del concetto di Wa in un articolo futuro... si merita un po' più di spazio!)
Manifestazioni nella lingua: come il Tatemae modella le parole
È nella lingua parlata che questa dinamica diventa più evidente per uno studente di giapponese.
・Rifiuti indiretti: questo è l'esempio più noto. In giapponese non diciamo mai un "no" (iie) diretto a un invito o a una proposta, può suonare estremamente scortese. Un rifiuto viene mascherato dal Tatemae con frasi come 「ちょっと難しいです」(chotto muzukashii desu, "è un po' difficile") o 「検討します」(kentō shimasu, "ci penserò/valuterò"), lasciando che sia l'interlocutore a intuire il "no" reale.
・Desideri altrui: questo esempio può essere illuminante sulla vera portata del Tatemae. Dal punto di vista di un giapponese, non si può mai affermare con certezza cosa vuole un'altra persona: da un lato sarebbe un segno di "superbia" o "presunzione" permettersi di comunicare i desideri altrui, e d'altra parte non possiamo neanche mai essere sicuri di conoscerli (proprio perché il Tatemae spesso impedisce agli altri di dire quello che veramente vogliono...) Quindi, invece di dire che qualcuno "vuole (~たい, ~tai)" fare qualcosa, si usa una forma che implica un'osservazione esterna: ~たがっている (~tagatteiru, "sembra che voglia..."). Diciamo solo quello che possiamo dire: descriviamo l'apparenza, ciò che "sembra" o "appare", per non invadere l'altrui sfera interiore (Honne).
・Linguaggio onorifico (Keigo): l'uso di forme umili per sé stessi e di forme onorifiche per gli altri è una manifestazione di Tatemae, che crea una distanza rispettosa e riconosce la gerarchia sociale.
・Parole-cuscinetto: L'uso frequentissimo di ちょっと… (chotto...), あのう… (anō...), ええと… (eeto...) non è solo esitazione, ma serve a smorzare l'impatto di ciò che si sta per dire, preparando il terreno.
E noi italiani? Il giapponese come strumento di crescita
Per una cultura diretta come quella italiana, questo sistema può sembrare complicato, o addirittura "falso". Questa è ovviamente una visione superficiale dei complessi rapporti sociali esistenti in Giappone. Di sicuro l'esistenza di Honne e Tatemae può generare una certa dose di "attrito" interiore, e molti giapponesi (particolarmente giovani) sentono questa frattura tra vero io e obbligo sociale come un peso.
Noi italiani non abbiamo un simile sistema, tutto si basa sulla sensibilità personale, ma per chi studia il giapponese la comprensione pronfonda di Honne e Tatemae inizia a essere indispensabile... e questa è una grande opportunità. Non solo per ampliare e migliorare le proprie abilità linguistiche, ma soprattutto per sviluppare una maggiore 思いやり (omoiyari), ovvero quella che noi definiremmo “empatia”, la capacità di considerare i sentimenti altrui prima di parlare.
Ci insegna che le parole hanno un peso e che la comunicazione non è solo esprimere (o peggio, imporre) il nostro "io", ma anche costruire e mantenere ponti con gli altri.
E tu cosa ne pensi? Ti è mai capitato di trovarti in una situazione dove avresti voluto usare un po' di Tatemae? O, al contrario, hai faticato a capire il vero Honne di qualcuno?
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