ピカドン Pikadon: Hiroshima, 80 Anni Dopo. Voci dall'Anno Zero
Oggi è il 6 agosto 2025. In Italia sono le 1:15 di notte; a Hiroshima, le 8:15 del mattino. Ottant'anni fa, in questo preciso istante, il mondo è cambiato per sempre.
Proviamo a immaginare una normale mattina d'estate a Hiroshima, un attimo prima che tutto finisse. Ad ascoltare le voci di chi ha vissuto un evento che non aveva nome, e che i sopravvissuti hanno battezzato con un suono quasi infantile, l'unico in grado di descrivere l'indescrivibile: ピカドン (Pikadon). "Pika", il lampo accecante. "Don", il boato assordante.
Hiroshima prima del lampo: una mattina d'estate
La Hiroshima del 1945 non era un punto su una mappa strategica, ma una città viva. Era un importante centro militare, ma per i suoi 350.000 abitanti era semplicemente casa. Quella mattina, la vita scorreva come sempre. Gli studenti, mobilitati per la guerra, erano stati mandati in centro a creare fasce tagliafuoco, demolendo case di legno per proteggere la città dagli incendi. Gli impiegati si affrettavano verso gli uffici, i tram sferragliavano sui sette fiumi della città, i bambini più piccoli giocavano. Il cielo era sereno, di un azzurro perfetto. Una giornata ideale per l'aeronautica americana.
Ore 8:15: il racconto del "Pikadon" e le storie spezzate
Alle 8:15, l'Enola Gay sganciò "Little Boy". 43 secondi dopo, la bomba esplose a 600 metri dal suolo, sopra l'ospedale Shima. Ci fu prima il "pika", un lampo silenzioso, accecante, più luminoso del sole, che impresse le ombre delle persone sui muri. Poi il "don", un'onda d'urto che polverizzò il centro della città e generò un vento a 800 km/h. Infine, una palla di fuoco a milioni di gradi che scatenò un inferno di incendi. Dal cielo, iniziò a cadere una pioggia nera, appiccicosa, radioattiva: la 黒い雨 (kuroi ame).
In quell'istante, decine di migliaia di vite finirono. E per chi sopravvisse, iniziò un incubo ancora peggiore. La storia di Sadako Sasaki è forse la più emblematica di questo destino spezzato. Aveva solo due anni quel giorno e sopravvisse senza ferite apparenti, ma dieci anni dopo le fu diagnosticata la leucemia, la "malattia della bomba". In ospedale, iniziò a piegare gru di carta, ispirata da un'antica leggenda secondo cui chi ne avesse create mille avrebbe visto esaudito un desiderio. Il suo desiderio era vivere. Morì prima di finire, ma i suoi compagni di classe completarono l'opera, trasformando le sue 千羽鶴 (Senbazuru), le mille gru, in un simbolo mondiale di pace. Storie come la sua, e quelle di migliaia di altri bambini, sono state raccolte dal professor Arata Osada ne "I Figli della Bomba" (原爆の子, Genbaku no Ko), un libro di testimonianze che racconta l'orrore con la lucidità terribile dell'infanzia. Tra le immagini più ossessionanti descritte dai testimoni, ci sono poi le processioni di sopravvissuti, con la pelle annerita e a brandelli, che camminavano in un silenzio spettrale fuori dalla città in fiamme, in una manifestazione quasi surreale di Gaman (我慢) di fronte all'apocalisse.
Il Dopo: Sopravvivere alla bomba
Per i sopravvissuti, identificati dalla parola 被爆者 (Hibakusha) "persona colpita dalla bomba", la guerra non finì. Iniziò un calvario fisico e sociale. Oltre alle malattie legate alle radiazioni, dovettero affrontare per decenni una terribile discriminazione. Molti nascosero il loro status di Hibakusha per paura di non trovare lavoro o di non potersi sposare, a causa del timore infondato che la "malattia della bomba" fosse contagiosa o ereditabile. A livello nazionale, la resa incondizionata che seguì le bombe di Hiroshima e Nagasaki portò a un trauma epocale: la "Dichiarazione della natura umana" (人間宣言, Ningen-sengen) con cui l'Imperatore Hirohito rinnegava la propria natura divina. Il mito su cui si era fondato il Giappone moderno crollava insieme alle sue città.
La memoria e i racconti
Per non dimenticare, è essenziale leggere, guardare, ascoltare. Il capolavoro di giornalismo di John Hersey, "Hiroshima", pubblicato sul New Yorker già nel 1946, racconta la storia di sei sopravvissuti con una potenza ancora oggi insuperata. Il manga autobiografico di Keiji Nakazawa, "Gen di Hiroshima" (はだしのゲン, Hadashi no Gen), è un monumento crudo e necessario della memoria collettiva. E il cinema ci ha regalato opere indimenticabili, dalla riflessione poetica sul trauma di "Hiroshima mon amour" (1959) di Alain Resnais, fino alla straziante umanità di "In questo angolo di mondo" (この世界の片隅に, Kono Sekai no Katasumi ni, 2016), che mostra la vita quotidiana a Hiroshima prima e dopo la bomba.
L'ombra atomica sull'immaginario giapponese
La bomba non ha solo distrutto una città; ha creato una cicatrice indelebile nell'immaginario collettivo giapponese. Godzilla (ゴジラ, Gojira), nel primo, cupissimo film di Ishirō Honda del 1954, non è un semplice mostro: è una creatura antica e inarrestabile, risvegliata da esperimenti nucleari, che emerge dal mare e porta distruzione e morte radioattiva. È l'ansia nucleare di un'intera nazione incarnata in una figura tragica. Quest'ombra atomica si è poi allungata su generazioni di opere, dall'estetica post-nucleare di "Akira" alla disperazione esistenziale di "Neon Genesis Evangelion". Il Giappone così come lo conosciamo oggi è anche figlio di quell'istante, e delle sue conseguenze.
La fine dell'innocenza
Il 6 agosto 1945 non fu solo la fine di una guerra. Fu l'alba terrificante di una nuova era, la fine dell'innocenza dell'umanità. Ma da quell'abisso di sofferenza, Hiroshima ha saputo trasformarsi in un simbolo mondiale di pace. Il suo Parco della Pace, il suo museo e il suo messaggio, instancabilmente ripetuto, "Mai più"... A 80 anni di distanza, in un mondo ancora pieno di conflitti, quella voce che arriva dal passato è più necessaria che mai.
Non è il mio ruolo, né sarei in grado di fare un'analisi politica e bellica sulle ragioni che hanno portato allo sgancio della bomba su Hiroshima 80 anni fa. Volevo solo parlare delle persone che quelle decisioni le hanno dovute subire, senz'altra colpa se non essere lì, a Hiroshima, quella mattina di agosto. E a Nagasaki, tre giorni dopo.
Questo post è dedicato alla memoria delle oltre 200.000 vittime di Hiroshima e Nagasaki, e a tutti gli Hibakusha che hanno passato la vita a testimoniare.
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